Lionel Sanders è stato protagonista della videorubrica PTO Keeping Connected, una delle iniziative della Professional Triathletes Organisation che permette tutti gli appassionati di rimanere “collegati” con i più forti triatleti del mondo.

30 minuti di fuochi d’artificio come solo il campione canadese sa regalare.

Lionel Sanders, lo sappiamo, è “fuoco e fiamme“. Il canadese è un sanguigno, uno che rifiuta i giochi di parole e che anche per questo è sempre un piacere ascoltare.

Anche nell’intervista con Till Schenk, annoucer del circuito Ironman – anche della gara italiana a Cervia – il campione canadese è andato dritto al punto:

“Io credo di essere nato per fare triathlon”.

E ancora:

“Preferisco tornare a casa in barella piuttosto che perdere uno scontro testa a testa”.

Lionel aveva già parlato del suo profondo rapporto con il triathlon. Due anni fa, al quotidiano cileno La Tercera, aveva raccontato di come iniziò la sua avventura con la triplice:

“Ero molto depresso, mi ero rifugiato nell’alcool e non sapevo come uscirne. E un giorno, non mi ricordo esattamente quando, ho pensato che lo sport potesse essermi d’aiuto. Allora ho cercato su Google quali fossero le discipline sportive più dure. E mi veniva fuori sempre il triathlon.”

Dalla ricerca alla pratica per Sanders il passo è stato brevissimo:

“Ho iniziato ad allenarmi ed è cambiato tutto. Grazie al training e alla nuova organizzazione di vita, stavo via via sviluppando abilità fisiche e mentali che ti sono completamente sconosciute quando sei perso nell’alcol.”

Lavoro e sforzo e ancora sforzo e lavoro per diventare uno dei migliori triatleti al mondo, nonostante le sue curiose tecniche di allenamento, come la “the cave of pain“, la “caverna del dolore”:

“Credo che l’allenamento indoor sia meglio di quello effettuato negli spazi esterni, perché non hai alcun impedimento. Mi alleno tutti i giorni in casa. Sono migliorato molto sulla bici e anche a piedi, e posso allenarmi anche se fuori nevica. Nuoto in una piscina con specchi sullo sfondo per migliorare i miei movimenti meccanici. È lì che succede tutto, nella caverna del dolore…”


Godetevi l’intera intervista con Schenk: